RECENSIONE SUL MENSILE “RARO PIU'” GENNAIO 2016
DI FERNANDO FRATARCANGELI
“SOGNI AL MICROSCOPIO”
“Sogni al microscopio non nasce volutamente come concept album-dice Gianluca Chiaradia- ma le canzoni possiedono comunque un filo comune rintracciabile nel desiderio di evasione da un luogo o uno stato mentale”. Così presenta il suo nuovo album il cantautore veneto; nove canzoni di cui ha composto testi e musiche, oltre a suonare la chitarra. Ottime composizioni e voce accattivante, originale, per proseguire un percorso, crediamo, notevolmente interessante. Una spruzzata di country, ballate e pop d'autore che fa di Sogni al microscopio un bel disco. Ispirato probabilmente dai vari Nick Cave, Mumford and Sons e Damien Jurado, il disco è stato registrat, tanne chitarra e voce, in presa diretta per meglio esprimere il suono più jazz che pop. Si distinguono in questo nuovo lavoro, l'iniziale “Metodi”, “Una storia per dormire”, “Lettera da londra” e “In fondo a me”.
RECENSIONE DI LINO BRUNETTI SUL BLOG "BACKSTREETS OF BUSCADERO"
Gianluca Chiaradia, classe 1991, è un chitarrista e cantautore veneziano, esordiente qualche anno fa con Seriamente Ironico, ora giunto al secondo lavoro con l’album Sogni Al Microscopio. Il suo è un cantautorato molto classico, tutto basato su arrangiamenti precisi ed eleganti, sulla solidità di testi ben scritti e in equilibrio tra leggerezza e serietà dei sentimenti, su quel pizzico di varietà che rende l’ascolto sufficientemente eclettico e piacevole (Metodi dal substrato un po’ più rock; Lettera Da Londra che tra violino e fisarmonica ha trama e passo da folk popolare; le infiltrazioni jazz e funk di Cose Che Finiscono; quelle sottilmente reggae di Cinepanettone; una ballata notturna e pianistica come la toccante In Fondo A Me). Chiaradia scrive bene, ha un bel tocco sulla chitarra (acustica in particolare) ed è aiutato da una bella squadra di musicisti (rifulgono il piano di Marco Ponchiroli e le linee di basso di Alessandro Fedrigo). Se un appunto vogliamo fare, problema tra l’altro comune a moltissimi dischi di questo genere, è la constatazione di un’adesione fin troppo ligia agli stilemi dell’universo cantautorale, la mancanza di un pizzico d’azzardo, del coraggio (anche produttivo) di uscire dal seminato, dell’intenzione d’immetere l’elemento alieno capace di spiazzare, prendendosi il rischio di rovinare la perfezione formale. Così com’è è un buon disco, intendiamoci, e credo che tutti gli appassionati del cantautorato italiano ci si possano ritrovare facilmente. Io, però, ho la netta sensazione che ci possano ancora essere ampi margini di manovra e le capacità per poter intraprendere un percorso ancor più personale. Staremo a vedere.